CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 2 luglio 2025, n. 5701 – La revisione prezzi si applica ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro. Con la previsione dell’obbligo di revisione del prezzo i contratti di forniture e servizi sono stati muniti di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporta la definizione di un «nuovo» corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti. Pertanto, nel caso di specie, in cui il contratto stipulato aveva la forma peculiare di un contratto quadro, che prevedeva l’eventuale svolgimento di mera attiv ità di facchinaggio con prestazioni “a chiamata”, cioè attivate tramite ordinativi separati e discrezionali, per esigenze non programmabili nel tempo e valutate caso per caso dall’amministrazione, la revisione prezzi non si applica, poiché ogni prestazione costituisce un rapporto autonomo e distinto, senza obbligo di revisione automatica.
N. 05701/2025REG.PROV.COLL.
N. 00944/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 944 del 2025, proposto da
Eli Pa.Ca Servizi e Lavori in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luigi Nilo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Puglia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia n. 719 del 2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 giugno 2025 il Cons. Elena Quadri;
Viste le conclusioni come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Eli Pa.Ca Servizi e Lavori in liquidazione ha proposto ricorso per l’annullamento:
– della nota della regione Puglia prot AOO_ 107/24/07/2008 /10471 avente ad oggetto: “Riscontro Vs/pec del 25 06 2018 Prot arrivo AOO_ 107/10469 del 24/10469 del 24 07 2018”, con la quale è stata rigettata l’istanza di revisione prezzi;
– dell’art 10 del contratto di appalto nella parte in cui stabilisce che non è ammessa la revisione prezzi, con conseguente inserimento automatico della clausola di riconoscimento revisione del prezzo di cui all’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (“Interventi correttivi di finanza pubblica”) e, altresì, degli articoli 5 e 14 del capitolato speciale d’appalto nei limiti e nell’interesse della ricorrente;
– nonché per il riconoscimento alla corresponsione della revisione prezzi in relazione al contratto di appalto n. 5345 del 2 novembre 2000, intercorso tra la regione Puglia e la ditta del signor Beniamino Elia, successivamente ceduto in favore dell’attuale ricorrente;
– e per la condanna della regione Puglia al pagamento in favore della ricorrente delle somme dovute a tale titolo, oltre interessi.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha respinto il ricorso con sentenza n. 719 del 2024, appellata da Eli Pa.Ca Servizi e Lavori in liquidazione per i seguenti motivi di diritto:
I) la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui afferma che non si è in presenza di un contratto ad esecuzione periodica e continuativa; violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 6, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dell’art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché eccesso di potere per illogica presupposizione in fatto; applicazione dell’istituto della revisione prezzi nel caso di mera proroga del contratto, come nella specie; la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui afferma che non sarebbe stato rispettato il principio della tempestività dell’inoltro dell’istanza di revisione; la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui afferma che nel ricorso mancherebbe qualsiasi indicazione in ordine alla motivazione in ragione della quale viene chiesta la revisione prezzi.
All’udienza del 19 giugno 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Giunge in decisione l’appello proposto da Eli Pa.Ca Servizi e Lavori in liquidazione per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia n. 719 del 2024 che ha respinto il suo ricorso per l’annullamento:
– della nota della regione Puglia prot AOO_ 107/24/07/2008 /10471 avente ad oggetto: “Riscontro Vs/pec del 25 06 2018 Prot arrivo AOO_ 107/10469 del 24/10469 del 24 07 2018”, con la quale è stata rigettata l’istanza di revisione prezzi;
– dell’art 10 del contratto di appalto nella parte in cui stabilisce che non è ammessa la revisione prezzi, con conseguente inserimento automatico della clausola di riconoscimento revisione del prezzo di cui all’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (“Interventi correttivi di finanza pubblica”) e, altresì, degli articoli 5 e 14 del capitolato speciale d’appalto nei limiti e nell’interesse della ricorrente;
– nonché per il riconoscimento alla corresponsione della revisione prezzi in relazione al contratto di appalto n. 5345 del 2 novembre 2000, intercorso tra la regione Puglia e la ditta del signor Beniamino Elia, successivamente ceduto in favore dell’attuale ricorrente;
– e per la condanna della regione Puglia al pagamento in favore della ricorrente delle somme dovute a tale titolo, oltre interessi.
La sentenza impugnata ha statuito che: “la revisione prezzi è applicabile unicamente ai contratti ad esecuzione periodica e continuativa; mentre, nel caso di specie, viene in evidenza un peculiare contratto quadro, che prevedeva l’eventuale svolgimento di mera attività di facchinaggio “a chiamata”, ossia a seguito di specifica richiesta da parte dell’Amministrazione, con apposito ordinativo (art. 7 del capitolato)”; “nella fattispecie, la richiesta, per l’attivazione dell’anelata revisione, è stata trasmessa soltanto in data 25 giugno 2018, ossia diciott’anni dopo la conclusione
del contratto, con evidente decadenza da qualsiasi azione e diritto”; “non può trovare applicazione agli atti, successivi al contratto originario, con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà – come emerge nella fattispecie concreta in delibazione – sia stato dato corso, tra le parti, a distinti e autonomi rapporti giuridici (ossia a distinte prestazioni di facchinaggio), ancorché di contenuto analogo a quello originario”; “manca qualsiasi indicazione in ordine alla motivazione, in ragione della quale viene chiesta la revisione prezzi”, “Così come non v’è né indicazione né prova del quantum da pagarsi, a titolo di revisione”.
Con l’appello Eli Pa.Ca Servizi e Lavori in liquidazione ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata. Ed invero, l’attività contrattuale, come originariamente prevista, sarebbe stata attivata mediante ordinativi che, quanto alle condizioni, sarebbero sempre rimasti uguali. Quindi, si sarebbe in presenza di un contratto ad esecuzione periodica e continuativa, nulla rilevando la necessità dell’ordine specifico, quando detto ordine, come nel caso di specie per ammissione regionale, avrebbe lo stesso contenuto dei precedenti. Le prestazioni richieste erano, infatti, diretta conseguenza dell’accordo contrattuale.
Già con l’art. 6 della legge n. 537 del 1993 (come novellato dalla legge n. 724 del 1994) è stato previsto che tutti i contratti pubblici ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo pattuito; tale disposizione costituisce norma imperativa non suscettibile di essere derogata in via pattizia e integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell’inserzione automatica. Detta disciplina revisionale è poi stata confermata dall’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006.
La richiesta revisionale è stata fatta con fax del 15 settembre 2005, a cui facevano seguito le RAR a firma del precedente difensore del 30 gennaio 2008 e 28 marzo 2012, cui seguiva il ricorso definito con la sentenza n. 231 del 2018. A seguito della intervenuta sentenza n. 213/18, la società inviava nota del 25.05.2018 con la quale chiedeva l’avvio dell’istruttoria volta all’accertamento e alla determinazione del quantum revisionale dichiarandosi disponibile al contraddittorio. Seguiva la nota regionale qui impugnata con la quale si riteneva la non sussistenza dei presupposti giuridici per il riconoscimento della revisione. Tanto basterebbe a far ritenere non esatta l’affermazione del Tribunale secondo cui l’appellante non avrebbe rispettato il principio della tempestività dell’inoltro. Da ultimo, sarebbe smentito in fatto quanto ritenuto dirimente dal Tribunale e cioè che mancherebbe, nel ricorso, qualsiasi indicazione in ordine alla motivazione in ragione della quale viene chiesta la revisione prezzi, quali sono ad esempio straordinari repentini aumenti del costo del lavoro o del materiale utilizzato, o altre consimili evenienze particolari, così come non vi sarebbe né indicazione né prova del quantum da pagarsi, a titolo di revisione. Invero, la determinazione del quantum dovrebbe avvenire a seguito dell’istruttoria da parte dell’Ente, e, in ogni caso, nel ricorso e nelle memorie si sarebbe richiamata la giurisprudenza che ha ammesso che, oltre l’indice FOI mensilmente pubblicato dal medesimo ISTAT, vada riconosciuto anche il maggior costo sostenuto per il personale impiegato per l’espletamento del servizio, nella misura degli aumenti delle retribuzioni stabiliti nel CCNL vigente ratione temporis, evidenziando come, nel caso di cui è causa, nel periodo di vigenza contrattuale le percentuali dei rinnovi contrattuali intervenuti, come da tabella che si produce, avrebbero determinato un incremento del costo del lavoro del 14% circa della paga base di ogni lavoratore impegnato. L’eventuale somma riconosciuta a tale titolo revisionale sarebbe da qualificarsi come debito di valuta e allo stesso andrebbero applicati gli interessi per ritardato pagamento di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.
Per la determinazione del corrispettivo dovuto a titolo di revisione occorrerebbe assumere come base su cui determinare gli importi periodicamente maturati dall’anno 2001 sino alla conclusione del rapporto negoziale (2014) l’importo iniziale del contratto, aumentato di quanto a titolo revisionale maturato secondo i criteri indicati anno per anno.
L’appello è infondato.
Deve premettersi che la revisione prezzi si applica ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro; con la previsione dell’obbligo di revisione del prezzo i contratti di forniture e servizi sono stati muniti di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporta la definizione di un «nuovo» corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti (cfr., per tutte, Cons. Stato, IV, 7 luglio 2022, n. 5667).
La revisione prezzi, quindi, è applicabile unicamente ai contratti ad esecuzione periodica e continuata.
Nel caso di specie, come si evince dalle stesse affermazioni dell’appellante, secondo cui: “L’attivita contrattuale, come originariamente prevista, era attivata mediante ordinativi che quanto alle condizioni sono, sempre, rimasti uguali. Quindi, siamo in presenza di un contratto ad esecuzione periodica e continuativa, nulla rilevando la necessità dello ordine specifico, quando detto ordine, come nel caso di specie per ammissione regionale, ha lo stesso contenuto dei precedenti” (cfr. appello, pag. 6), e come statuito in maniera condivisibile dalla sentenza impugnata, il contratto stipulato aveva la forma peculiare di un contratto quadro, che prevedeva l’eventuale svolgimento di mera attività di facchinaggio “a chiamata”, ossia a seguito di specifica richiesta da parte dell’amministrazione, con apposito ordinativo.
Il facchinaggio veniva, quindi, richiesto dall’amministrazione e accettato di volta in volta dall’impresa al fine di fronteggiare esigenze non quantificabili e non programmabili nel tempo, con riserva di valutare, dunque, discrezionalmente se procedere a richiedere successivi ordinativi in base alle disponibilità finanziarie e alle concrete esigenze di servizio.
Riguardo, invece, alle specifiche modalità di pagamento, veniva di volta in volta stabilito tra le parti il pagamento di singole e separate prestazioni, non preventivabili ex ante, a seconda delle esigenze in concreto sussistenti e poi effettivamente rese e fatturate a richiesta della committenza, venendo in seguito conteggiate e verificate, di volta in volta, le ore effettivamente impiegate nell’attività ordinata.
Emerge, quindi, come nella specie non sia stato mai convenuto alcun canone fisso, suscettibile di revisione.
Come statuito dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, negli appalti pubblici, l’istituto della revisione dei prezzi, previsto dall’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (sostituito dall’art. 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724), non può trovare applicazione agli atti, successivi al contratto originario, con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso, tra le parti, a distinti e autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario. Ciò, nel caso di specie, si evince sia per le tipologie di prestazioni richieste, sia per il subentro della società ricorrente ad un diverso precedente contraente (cfr. Cons. Stato, III, 9 maggio 2012, n. 2682).
Ed invero, nel caso di specie la revisione dei prezzi non può applicarsi agli atti, successivi al contratto originario, con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso, tra le parti, a distinte prestazioni di facchinaggio per separate e sporadiche esigenze eventuali, ancorché di contenuto analogo a quello originario, anche in considerazione del subentro della società ricorrente a un diverso precedente contraente.
Nella fattispecie in questione mancano, dunque, i presupposti per l’applicazione dell’istituto della revisione prezzi, essendo, di conseguenza, irrilevanti le ulteriori doglianze dell’appellante.
Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata di reiezione del ricorso di primo grado.
Nulla va disposto sulle spese, in mancanza di costituzione della controparte.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata di reiezione del ricorso di primo grado.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2025 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Elena Quadri, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Elena Quadri
IL PRESIDENTE
Diego Sabatino
IL SEGRETARIO