TAR Lazio, sez. I Quater, del 22 luglio 2025, n. 14516 – La richiesta di restituzione degli emolumenti già corrisposti, che la società a partecipazione pubblica indirizza al presidente o a qualsiasi altro componente del Consiglio di amministrazione, anche se eseguita in attuazione di un provvedimento adottato dall’ANAC a conclusione di un procedimento di vigilanza ai sensi del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, rientra certamente nei rapporti regolati iure privatorum dal mandato conferito all’amministratore. Ciò comporta che, una volta dichiarata la nullità del conferimento dell’incarico, anche in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità della norma di riferimento contenuta nel d.lgs. 39/2013 (e anche dopo che il giudice amministrativo abbia esaminato e dichiarato la legittimità o nullità del provvedimento amministrativo che accerta tale nullità), le controversie relative alla possibilità o meno per l’amministratore di trattenere le somme elargite a titolo di remunerazione per lo svolgimento dell’incarico debbano essere deferite alla cognizione del giudice ordinario. Tale riparto di giurisdizione trae fondamento nella distinzione consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: gli atti amministrativi riguardanti la nomina, conferimento, revoca o annullamento di cariche in enti a partecipazione pubblica sono sottoposti alla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché attinenti a posizioni di interesse legittimo e a materie di pubblico interesse; le controversie aventi ad oggetto rapporti patrimoniali derivanti dal mandato conferito agli amministratori, quali il pagamento, la restituzione o il trattenimento degli emolumenti percepiti, sono disciplinate dal diritto privato e rientrano nella competenza del giudice ordinario.
N. 14516/2025 REG.PROV.COLL.
N. 11384/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11384 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Alessio Ciacci, rappresentato e difeso dall’avvocato Elisa Burlamacchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via degli Artisti 20;
contro
Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ascit Servizi Ambientali S.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Paparella e Pietro Marzano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Retiambiente S.p.a., non costituita in giudizio;
per l’annullamento,
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
della delibera adottata dal Consiglio dell’A.n.a.c. – Autorità Nazionale Anticorruzione nell’adunanza del 21 giugno 2022, n. 296, notificata il 28 giugno 2022, avente ad oggetto “ipotesi di inconferibilità ex art. 7 d.lgs. n. 39/2013 dell’incarico di Presidente del CdA di Ascit Servizi Ambientali SpA”, nonché di tutti gli atti presupposti, conseguenti o comunque connessi, se lesivi, fra cui la comunicazione di avvio del procedimento di vigilanza ex art. 7 d.lgs. 39/2013 in data 21 febbraio 2022, prot. n. 12660, la comunicazione di inconferibilità dell’incarico di presidente emessa da Ascit Servizi Ambientali S.p.a. in data 29 giugno 2022, prot. n. 5503 e l’atto di avvio del procedimento per l’eventuale applicazione della sanzione ex art. 20, co. 5, d.lgs. 39/2013 emesso dalla medesima società in data 4 agosto 2022, prot. n. 6407;
per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal ricorrente il 1° marzo 2023:
– del provvedimento a firma del Direttore generale di Ascit Servizi Ambientali S.p.a., prot. n. 10193 del 12 dicembre 2022, notificato in data 21 dicembre 2022, con il quale, in attuazione della delibera A.n.a.c. n. 296 del 21 giugno 2022, è stata chiesta al ricorrente la restituzione di tutti gli emolumenti conseguiti in ragione dell’assolvimento dell’incarico di presidente del consiglio di amministrazione della medesima società, pari all’importo di € 20.323,61 oltre interessi;
– di tutti gli atti presupposti, conseguenti o comunque connessi, se lesivi e
per l’accertamento e la declaratoria
della non debenza delle somme richieste da parte di Ascit Servizi Ambientali S.p.a. con il sopra richiamato provvedimento.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e di Ascit Servizi Ambientali S.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2025 il dott. Dario Aragno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il dott. Alessio Ciacci espone di aver accettato di ricoprire, a partire dal 31 dicembre 2020, l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione di Ascit Servizi Ambientali S.p.a. (di seguito anche solo “Ascit”), società a partecipazione pubblica attiva nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani che opera sotto la direzione e il controllo di RetiAmbiente S.p.a. (a sua volta partecipata interamente dai Comuni di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara), non prima di aver accertato, tramite apposita consulenza legale, l’insussistenza di possibili cause di inconferibilità e incompatibilità di cui al d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, per i precedenti incarichi ricoperti in altre società a partecipazione pubblica, poi confermata dalla due diligence della Funzione di Conformità di Ascit in data 17 marzo 2021.
1.1. L’A.n.a.c., con nota del 21 febbraio 2022, ha comunicato l’avvio del procedimento di vigilanza di cui all’art. 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 39/2013, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l’inconferibilità dell’incarico al dott. Ciacci, in quanto già amministratore unico di Cermec S.p.a., partecipata interamente dal Comune di Massa, dal Comune di Carrara e dalla Provincia di Massa e avente come oggetto sociale la gestione integrata di servizi ecologici e ambientali, e, quindi, già titolare di un incarico (quello di provenienza) potenzialmente rilevante ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. l), del d.lgs. 39/2013, al quale ora l’art. 17 dello statuto di Ascit (avente sede nella medesima Regione Toscana) attribuirebbe, come presidente del c.d.a., poteri di gestione incompatibili con quelli già esercitati.
1.2. Il 17 marzo 2022 il R.P.C.T. di Ascit ha trasmesso all’A.n.a.c. le proprie osservazioni, dirette ad evidenziare, in sintesi, sia l’assenza di qualsiasi delega gestionale in capo al presidente del c.d.a., dimostrata dalla presenza di un direttore generale e di soggetti muniti di procure speciali, sia l’imputabilità dell’attività materialmente esercitata da Ascit a RetiAmbiente S.p.a.
1.3. L’A.n.a.c., tuttavia, con la delibera n. 296 del 21 giugno 2022, si è determinata per l’inconferibilità dell’incarico di presidente del c.d.a. di Ascit al dott. Ciacci, dando mandato al R.P.C.T. di comunicargli la nullità dell’atto di conferimento, sul presupposto che:
– l’art. 17 dello statuto di Ascit prevedesse per la figura del presidente del c.d.a. «le più ampie facoltà per la gestione ordinaria e straordinaria della Società, senza eccezioni di sorta» (tra le quali acquisti, permute, alienazioni immobiliari, compromessi e transazioni), non coincidenti con i poteri individuati dalla due diligence svolta dalla Funzione di Conformità di Ascit in data 17 marzo 2021 (partecipazione del presidente alle commissioni esaminatrici per la selezione di figure dirigenziali, autorizzazione ai pagamenti in contanti per importi superiori a € 100 e autorizzazione di spese di rappresentanza) e ai quali il dott. Ciacci avrebbe rinunciato, nonché un potere di firma libera;
– il direttore generale avesse poteri di gestione limitati a specifiche aree di intervento;
– il regolamento del gruppo RetiAmbiente S.p.a. preservasse l’autonomia gestionale degli organi sociali delle controllate.
1.4. In attuazione della delibera A.n.a.c. n. 296/2022 Ascit ha notificato al dott. Ciacci sia, in data 29 giugno 2022, la comunicazione di nullità dell’incarico sia, in data 4 agosto 2022, l’avvio del procedimento sanzionatorio di cui all’art. 20, co. 5, del d.lgs. 39/2013.
2. Avverso il provvedimento dell’A.n.a.c. il dott. Ciacci ha proposto ricorso a questo T.a.r., chiedendone l’annullamento sulla base dei motivi di seguito riportati.
I. «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 d.lgs. 39/2013 – Eccesso di potere per carenza dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria – Eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza e illogicità manifesta».
L’incarico ricevuto non prevederebbe le “deleghe gestionali dirette” alle quali l’art. 1, co. 2, lett. l), del d.lgs. 39/2013 subordina la sussistenza dell’ipotesi d’inconferibilità, come dimostrato dall’espunzione, dal testo definitivo della disposizione, del riferimento alle sole “cariche di presidente” invece presente nella sua versione originaria (di cui la medesima A.n.a.c. sarebbe consapevole, avendo con l’atto di segnalazione n. 1 del 18 gennaio 2017 proposto al Parlamento di modificare la disposizione al fine di eliminare dalla causa di inconferibilità l’ulteriore condizione della sussistenza delle «deleghe gestionali dirette»).
L’A.n.a.c. avrebbe, altresì, travisato il contenuto dell’art. 17 dello statuto di Ascit, che non attribuirebbe al presidente del c.d.a. né poteri di gestione né di firma libera (invece spettanti, unitamente alle funzioni di datore di lavoro, al direttore generale) bensì esclusivamente di rappresentanza e di coordinamento all’interno del c.d.a. (in seno al quale, comunque, il suo voto non avrebbe un peso maggiore di quello riconosciuto agli altri membri).
II. «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 d.lgs. 39/2013 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione sotto diverso profilo – Eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza e illogicità manifesta».
L’A.n.a.c. non avrebbe tenuto conto, nel giudizio di inconferibilità, né delle competenze gestionali rimesse alla figura del direttore generale (ammettendo, anzi, di aver condotto l’istruttoria senza averne contezza) né delle analitiche osservazioni svolte dalla Funzione di Conformità di Ascit, ciò palesando gravi lacune istruttorie del procedimento.
3. L’A.n.a.c. si è costituita con memoria di stile in data 26 ottobre 2022.
4. Il ricorrente ha depositato in data 1° marzo 2023 motivi aggiunti, con i quali ha esteso l’impugnazione alla nota del Direttore generale di Ascit n. 10193 del 12 dicembre 2022, con la quale, in attuazione della delibera A.n.a.c. n. 296/2022, Ascit, pur avendo archiviato il procedimento per l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 20, co. 5, del d.lgs. 39/2013 a causa dell’assenza di dolo o colpa nelle dichiarazioni rese ai fini dell’accettazione dell’incarico, gli ha intimato la restituzione di tutti gli emolumenti conseguiti, pari all’importo di € 20.323,61, oltre interessi, contestandone sia l’illegittimità derivata dagli atti già impugnati con il ricorso originario sia vizi propri. Questi ultimi risiederebbero, in particolare, nell’«Eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta. Carenza di istruttoria», sia perché l’incarico sarebbe stato correttamente assolto sul presupposto della legittimità del conferimento, tant’è che gli atti compiuti resterebbero validi ed efficaci nonostante la dichiarazione di nullità, sia perché la restituzione degli emolumenti determinerebbe un ingiustificato arricchimento di Ascit, «dal momento che quest’ultima andrebbe a non remunerare un’attività (che ha richiesto tempo ed elevate competenze) di cui pacificamente si è servita». Il dott. Ciacci ha, quindi, concluso per l’accertamento della non debenza del credito rivendicato da Ascit e del suo diritto a trattenere i compensi ricevuti, eventualmente ai sensi dell’art. 2041 c.c., chiedendo, altresì, la riunione del presente giudizio con quello iscritto al n. (r.g.) 11094/2022 su iniziativa di Ascit avverso la medesima delibera dell’A.n.a.c.
5. Ascit si è costituita con memoria di stile in data 30 marzo 2023.
6. In riscontro all’ordinanza presidenziale del 22 novembre 2024, n. 5632, l’A.n.a.c. ha depositato, in data 8 maggio 2025, il provvedimento impugnato e una relazione, con la quale ha chiesto, previa riunione del presente ricorso con il ricorso n. (r.g.) 11094/2022 (avente ad oggetto il medesimo provvedimento), che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, perché, rispetto ai fatti di causa, sarebbe sopravvenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, co. 2, lett. f), e 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 39/2013 (sui quali era fondato il provvedimento), «nella parte in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale)» (Corte costituzionale, sentenza 4 giugno 2024, n. 98), nonché di non essere condannata al pagamento delle spese di giudizio «in virtù del fatto che l’Autorità – pur dovendo all’epoca dei fatti applicare le norme di cui al D.lgs. 39/2013 – aveva sollevato dubbi interpretativi sulla legittimità dell’art. 7, comma 2, lett. d) del D.lgs.39/2013 con apposita segnalazione fatta al Parlamento e al Governo (atto n. 4 del 10 giugno 2015 – all. 4)».
7. In vista dell’udienza pubblica del 17 giugno 2025 hanno depositato memoria sia il ricorrente, al fine di insistere per l’accoglimento del ricorso, non essendo «intervenuti provvedimenti di annullamento e/o revoca in autotutela dei provvedimenti in questa sede impugnati», sia Ascit, al fine di aderire alla richiesta di accertamento dell’illegittimità sopravvenuta ‒ a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 98/2024 ‒ della delibera A.n.a.c. n. 296/2022, tutt’ora efficace, in quanto non rimossa spontaneamente dall’Autorità in via di autotutela.
8. All’udienza pubblica del 17 giugno 2025 la causa ‒ previo avviso della possibile sussistenza del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda avente ad oggetto gli emolumenti contenuta nel ricorso per motivi aggiunti ex art. 73 c.p.a. ‒ è stata trattenuta in decisione.
9. In via preliminare, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di accertamento della non debenza della restituzione degli emolumenti (con i quali è stato remunerato l’incarico di presidente del c.d.a. di Ascit) contenuta nel ricorso per motivi aggiunti.
Posto, infatti, che Ascit è una società a partecipazione pubblica (in quanto, come si legge nello statuto depositato in atti, il suo capitale sociale è interamente detenuto dai Comuni dell’A.T.O. Toscana Costa di cui alla legge regionale Toscana 28 dicembre 2011, n. 69, per il tramite della società RetiAmbiente S.p.a.), si applica l’art. 1, co. 3, del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, secondo cui «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato».
In proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che «Le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello del cd. in house providing», in quanto, se l’adozione di quest’ultimo modello riverbera senz’altro i suoi effetti sul regime di responsabilità degli amministratori della società pubblica, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 175/2016, «[c]iò non implica però, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco. Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche disposizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato» (Cass. civ, Sez. unite, ord. 1° dicembre 2016, n. 24591; vds. anche Cass. civ., Sez. unite, sentenza 27 marzo 2017, n. 7759, in materia di procedure per il reclutamento del personale, nonché 11 novembre 2019, n. 29078, secondo cui «il punto da sottolineare è che, in presenza di un atto da collocare “a valle” della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, esso deve ritenersi interamente regolato dal diritto privato, senza cioè poter distinguere…una fase prodromica o deliberativa riservata alla cognizione del giudice amministrativo ed una attuativa riservata alla cognizione del giudice ordinario»).
La richiesta di restituzione degli emolumenti già corrisposti, che la società a partecipazione pubblica indirizza al presidente o a qualsiasi altro componente del consiglio di amministrazione, sia pure in esecuzione di un provvedimento adottato dall’A.n.a.c. a conclusione di un procedimento di vigilanza ai sensi del d.lgs. 39/2013, rientra certamente nei rapporti con i quali la prima regola iure privatorum il mandato conferito al secondo, sicché, una volta dichiarata la nullità del conferimento in applicazione della disciplina di carattere pubblicistico contenuta nel d.lgs. 39/2013 (e anche dopo che il giudice amministrativo abbia scrutinato la legittimità del provvedimento dichiarativo della detta nullità), le controversie che insorgono sulla possibilità o meno per l’amministratore di trattenere le somme elargite per remunerarne lo svolgimento appartengono alla cognizione del giudice ordinario.
10. In secondo luogo, va respinta la richiesta di riunione del presente giudizio con quello iscritto al n. (r.g.) 11094/2022.
Tra le due cause non c’è, infatti, una piena coincidenza del petitum, proprio in ragione della proposizione nel presente giudizio dei motivi aggiunti avverso la richiesta di Ascit di restituzione degli emolumenti con i quali è stato remunerato l’incarico di presidente del c.d.a. della medesima società e della conseguente necessità di definire la questione di giurisdizione sulla stessa.
11. Nel merito del ricorso principale, poiché la delibera n. 296/2022 non risulta essere stata ritirata in autotutela dall’A.n.a.c., non è possibile dichiarare la cessazione della materia del contendere. Quest’ultima pronuncia postula, ai sensi dell’art. 34, co. 5, c.p.a. che la pretesa del ricorrente venga pienamente soddisfatta, i.e. la rimozione dal mondo giuridico del provvedimento dal quale scaturisce la lesione dell’interesse individuale; nel caso di specie, alla dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni contenute negli artt. 1, co. 2, lett. f), e 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 39/2013 non ha fatto seguito alcun provvedimento dell’A.n.a.c. volto a porre rimedio al contrasto tra la delibera di inconferibilità n. 296/2022 precedentemente adottata e il mutato quadro normativo, sicché si rende necessario l’intervento di una pronuncia di annullamento del giudice amministrativo che ristabilisca la conformità dell’azione della pubblica amministrazione al diritto vigente. In proposito, vale, infatti, il principio secondo cui «il venir meno del presupposto normativo di un atto per sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità non ne comporta la caducazione “ipso iure”, essendo necessaria la sua rimozione con un provvedimento giurisdizionale o in via di autotutela qualora esso sia divenuto inoppugnabile» (Cons. Stato, IV, 11 novembre 2014, n. 5526).
12. Tanto premesso, nel giudizio in esame il dott. Ciacci ha impugnato la delibera n. 296/2022 con la quale A.n.a.c. ha sancito l’inconferibilità a lui, già amministratore unico di Cermec S.p.a., dell’incarico di presidente del c.d.a. di Ascit, facendo applicazione della disposizione contenuta nell’art. 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 39/2013, secondo cui «A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico, ovvero a coloro che nell’anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» non potevano essere conferiti «gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione».
L’A.n.a.c., in particolare, ha ancorato l’inconferibilità al dott. Ciacci dell’incarico di presidente del c.d.a. di Ascit al presupposto che l’incarico “di destinazione” rientrasse nel perimetro applicativo dell’art. 1, co. 2, lett. l), del d.lgs. 39/2013, secondo cui per «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», si intendono «gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell’ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico».
La Corte costituzionale, dal canto suo, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale)», rilevando un “eccesso di delega” (e, quindi, una violazione dell’art. 76 della Costituzione), nella scelta del legislatore delegato di “allargare” gli incarichi di provenienza ostativi, includendovi anche quelli di natura non politica (sentenza n. 98/2024).
La fattispecie concreta ‒ in cui al dott. Ciacci è stata preclusa la conferibilità dell’incarico di presidente del c.d.a. di Ascit nonostante l’incarico di provenienza (quello di amministratore unico di Cermec S.p.a.) non avesse connotazione politica ‒ rientra, quindi, a pieno titolo, nella casistica che il giudice delle leggi ha stigmatizzato e cancellato dall’ordinamento, sicché non può esservi dubbio sul fatto che il potere di interdizione esercitato dall’A.n.a.c. e in questa sede contestato non trovi più alcun aggancio normativo.
È, pertanto, possibile per questo giudice annullare il provvedimento impugnato per illegittimità derivata e sopravvenuta, in quanto «dalla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma di legge sulla quale si fonda il provvedimento impugnato discende l’illegittimità derivata dell’atto medesimo qualora l’interessato nel ricorso abbia comunque posto in rilievo la norma di che trattasi, ancorché non censurandola specificamente sotto il profilo della poi dichiarata incostituzionalità» (Cons. Stato, IV, 3 maggio 2011, n. 2623, nonché 26 aprile 2024, n. 3798, che, richiamando V, 6 febbraio 1999, n. 138, ribadisce che «legittimamente il giudice adito annulla l’atto impugnato fondato su una norma dichiarata incostituzionale, anche nel caso in cui la relativa questione non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di ricorso, considerato che detto giudice è chiamato, sia pur in modo indiretto o implicito, a far applicazione della norma nella quale trova legittimazione l’atto impugnato»).
Non si pone, poi, una questione di rapporti esauriti (che non vengono travolti neanche dalla dichiarazione di incostituzionalità della disposizione): l’interdizione di cui è destinatario il dott. Ciacci è, infatti, un provvedimento ad effetti durevoli (e non istantanei) che perdurano ancor oggi, sicché la dichiarazione di incostituzionalità impone la revisione della decisione amministrativa alla luce del quadro normativo sopravvenuto che dalla stessa discende.
13. In conclusione, la giurisdizione sulla domanda contenuta nel ricorso per motivi aggiunti va declinata a favore del giudice ordinario, con gli effetti previsti dall’art. 11, co. 2, c.p.a., mentre il provvedimento impugnato con il ricorso originario va annullato per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39.
14. Tenuto conto della complessità e della peculiarità della controversia ‒ e del ragionevole dubbio, alimentato dal tenore della relazione depositata, che A.n.a.c. non abbia ritirato in autotutela la delibera n. 296/2022 impugnata non perché volesse insistere sulla tesi dell’inconferibilità bensì perché convinta che la caducazione della delibera fosse un effetto automatico della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 1, co. 2, lett. f), e 7, co. 2, lett. d), del d.lgs. 39/2013 ‒ le spese di giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, fatto salvo il rimborso al ricorrente da parte dell’A.n.a.c. del contributo unificato versato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così dispone:
i) dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso per motivi aggiunti, indicando il giudice munito di giurisdizione in quello ordinario, innanzi al quale il processo potrà essere riproposto ai sensi e per gli effetti dell’art. 11, co. 2, c.p.a.;
ii) accoglie il ricorso principale e, per l’effetto, annulla la delibera A.n.a.c. n. 296/2022;
iii) compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti, fatto salvo il rimborso al ricorrente da parte dell’A.n.a.c. del contributo unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2025 con l’intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario
Dario Aragno, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Dario Aragno
IL PRESIDENTE
Orazio Ciliberti
IL SEGRETARIO